La forza della voce - page 47

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IL MOMENTO DELLA STORIA, UN MONDO CHE PARLA
(29/12/2013)
Una industriale malese mi racconta di come il governo pensa solo ad aumentare le difficoltà
alle imprese con la classe politica interessata solo a mantenere le poltrone, un industriale
cinese mi racconta di come il governo non garantisca la cassa malattia e la disoccupazione stia
iniziando ad essere un problema, che l’età della pensione viene allungata e che la classe
politica ignora le difficoltà quotidiane dei cittadini, oltre al pericolo di essere puniti se si
approfitta davvero della libertà di espressione che solo a parole il governo garantisce.
Queste sono le risposte impreviste quando racconto le incredibili vicissitudini di chi lavora e
crea posti di lavoro in Italia.
Intanto in India l’economia langue, le costruzioni di nuovi appartamenti non vengono
completate, la moneta cade. In Brasile la crescita è precipitata, dalla Turchia all’Ucraina la
società è in piazza. Uno scontento planetario che ha una identificazione, la classe media che si
è moltiplicata a seguito della globalizzazione e, dopo la crisi finanziaria del 2008 si è ritrovata a
dover pagare le conseguenze dei paurosi buchi degli stati che hanno rimesso in discussione la
prosperità diffusa e raggiunta per le generazioni attuali e prossime. Di fronte non ci sono
governi collaborativi, ma obsoleti, ancorati ad una visione dell’economia di uno stato mamma,
anziché di semplice regolatore degli eccessi che, quando si sono presentati, sono passati
inosservati da chi doveva controllarli. Un moto della società che ha uguali solo nei momenti di
grande cambiamento storico, contemporaneo ad una diffusione dell’informazione capillare
grazie ai nuovi media che addirittura sono divenuti il mezzo di comunicazione delle elites
rivoluzionarie nel mondo arabo e nordafricano.
Tutto il mondo è paese, verrebbe voglia di dire in questa fine di 2013. Dovunque succede e
dovunque si parla e,anche dove non si riesce a protestare, si parla e si sa.
Siamo forse alle soglie di un nuovo inizio del novecento, quando, come ben ricostruito dal
padre della ecobiopsicologia italiana, il professor Diego Frigoli nel suo libro “Il corpo e l’anima”,
“il pensiero freudiano si formò in un mondo alle soglie della decadenza, dominato da tensioni
sociali ed economiche, in crisi culturale, di perdita di fedeltà a tradizioni, squassato da tensioni
dilaganti collettive che aspiravano all'ebbrezza della libertà e la necessità di una nuova
condizione sociale dell'uomo, il tramonto di un'epoca mettendone in luce le ipocrisie, i dubbi, i
segreti, le ansie recondite”.
Il risveglio finì male, con le distruzioni belliche.
A differenza di allora, oggi il modello sembra quello junghiano che ha amplificato le
caratteristiche dell’inconscio scoperto da Freud, dalla dimensione individuale a quella collettiva.
E per questo la probabilità è che stavolta finisca in un altro modo.
Nell’agosto del 2011 la rivista Time pubblicò una copertina di una Europa in fiamme, il titolo
era “Declino e caduta dell’Europa (e forse dell’occidente)”, gli articoli all’interno presentavano
le statistiche delle differenze sociali, sempre maggiori tra chi aveva e chi non aveva, con le
periferie delle grandi città in fiamme per la mancata integrazione dell’immigrazione, una
unione europea in crisi e gli Stati Uniti troppo deboli per fare da solito traino.
Nel marzo del 2011 comparve su una rivista europea l’analisi di Ivan Krastev, considerato uno
dei maggiori osservatori delle vicende contemporanee, L’autore affermava che nell’epoca del
collasso dell’autoritarismo nel mondo arabo, in parallelo si assisteva alla crisi della democrazia
in Europa con la fiducia nelle istituzioni in drammatica caduta e con la crescita di quello che
definiva il “populismo”. Concetto, quello del populismo, che aveva già anticipato in un altro
articolo del settembre del 2007 quando avvertì che i movimenti che lo rappresentavano non
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